Nel 1952 un medico svizzero portò a casa sette scheletri del popolo Mbuti del Congo e li consegnò all'Università di Ginevra per fini di ricerca. In "The Ghosts are Returning", un nuovo spettacolo dell'ensemble teatrale e musicale GROUP50:50, artisti provenienti dal Congo, Svizzera e Germania vanno alla ricerca dei discendenti dei sette ed invocano un rituale per il ritorno degli spiriti.
"The Ghosts are Returning" fa parte di una crescente mobilitazione internazionale di attivisti, artisti e politici africani ed europei che chiedono la restituzione della miriade di manufatti e opere d'arte africane saccheggiate durante il colonialismo e ora gelosamente custodite nei musei e nelle università europee.
L'artista congolese Mwazulu Diyabanza, ad esempio, ha recentemente "portato a casa" una pietra funeraria del XIX secolo appartenente al popolo Bari del Ciad, rimuovendola dal Museo Quai Branly di Parigi, dove oltre 70.000 artefatti africani sono custoditi. Tentativi simili si sono ripetuti a Marsiglia e ad Amsterdam, sollevando ogni volta un acceso dibattito pubblico su chi sia veramente il ladro.
Diyabanza ha le idee chiare al riguardo. "Sono stati loro a rubare", sostiene, “hanno rubato una parte della mia storia, una parte della mia identità. E io ho fatto quello che farebbero tutti se vedessero un ladro: ho ripreso quello che hanno sottratto senza chiedere il permesso".
Il suo punto sulla questione identitaria è fondamentale per comprendere il significato del movimento di restituzione. Gli oggetti d'arte e i rituali aiutano gli esseri umani a navigare il loro passato e il loro presente, fornendo un ancoraggio fondamentale per l’individuo e per le comunità di individui che chiamiamo società e Stato.
L'espropriazione culturale subita dall’Africa durante il colonialismo europeo è stata pari a una cancellazione del suo passato, come a rivendicare retrospettivamente la falsa pretesa coloniale che impone sul continente vuotezza e marginalità storica.
Opere come i bronzi del Benin del XVI secolo, ad esempio, testimoniano la lunga e complessa storia dell'Africa occidentale e il suo primo contatto con gli europei, che spesso appaiono come goffi personaggi in queste splendide sculture.
I resti umani e le maschere rituali non hanno un ruolo minore. Tradizionalmente sparsi nei villaggi, questi collegano una comunità con il suo passato e il suo presente attraverso l'esercizio del potere politico e spirituale di cui erano rappresentazione. Sottrarre questi tesori è più di una spoliazione artistica: è il tentativo di cancellare il senso di identità di un popolo.
Fig. 1
Spinti dal cambiamento della percezione internazionale e da un crescente attivismo artistico, i governi e i musei europei stanno iniziando a reagire. Lo scorso luglio la Germania ha sigillato un accordo con la Nigeria per la restituzione di oltre 1.000 artefatti saccheggiati. In agosto il Regno Unito ha seguito l'esempio. La Francia è stata tra i primi a muoversi, con un importante rapporto commissionato dal presidente Macron nel 2019 e seguito dalla restituzione dei tesori del Benin a Cotonou.
Un caso particolare viene dall’Italia, un Paese che troppo spesso tenta di dimenticare il proprio passato coloniale in Eritrea, Somalia, Libia ed Etiopia.
Nell’ottobre 2021 è stato istituito un Comitato per le restituzioni creato dal Ministero della cultura e nel quale siedono vari direttori di musei tra cui Andrea Vigliani, direttore del Museo delle Civiltà, un grande contenitore eclettico che racchiude, tra le altre, le collezioni dell’antico Museo Coloniale.
Proprio il Museo delle Civiltà ci parla di un rapporto alla restituzione che, oltre il semplice trasferimento degli oggetti, diventa pratica viva e contemporanea. “Il Museo”, racconta il curatore Matteo Lucchetti, “cerca di guardare alle proprie collezioni con il concetto di ‘matrimonio’ piuttosto che di ‘patrimonio’ culturale, andando quindi a mettere l’accento non sul possesso delle opere ma sulle pratiche di cura verso gli oggetti presenti nella collezione.”
E nel ripensare le metodologie del museo l’arte contemporanea gioca un ruolo fondamentale come strumento di ricerca, dialogo e riscrittura della storia degli oggetti. “Il Museo”, continua Lucchetti, “deve essere concepito come un continuo lavoro laboratoriale e partecipato, aperto alle tante comunità che si occupano di questi temi e alla partecipazione di artisti internazionali in residenza”.
Fig. 2
Tra gli artisti contemporanei coinvolti e integrati nell’organico del museo, ad esempio, l’artista congolese Sammy Baloki sta lavorando sui tessuti preservati nel Museo e sulla storia che questi raccontano dei rapporti diplomatici, e in alcuni momenti anche ugualitari, tra Stato pontificio e Regno del Congo. Mentre l’artista colombiana Gala Porras Kim porta avanti una ricerca sui resti umani interni al Museo e l’artista brasiliana Maria Theresa Alves sta divenendo un tramite con le popolazioni indigene dell’Amazzonia.
Il Museo delle Civiltà mostra quanto il tema della restituzione possa divenire non solo occasione di giustizia culturale ma fonte di ispirazioni per nuove pratiche artistiche contemporanee e realmente postcoloniali.
Sebbene la restituzione delle opere più famose sia spesso decisa a livello diplomatico, le città possono svolgere un ruolo altrettanto importante sia nella restituzione fisica dei musei comunali sia, e soprattutto, nei contatti tra cittadini e comunità europee ed africane che accompagnano le cerimonie per il "ritorno a casa" delle opere.
Il 12 dicembre la città francese di Montpellier ospiterà, insieme alla Fondazione Studio Rizoma di Palermo, il primo raduno di comuni dedicato al tema della restituzione. La diplomazia a livello cittadino è sempre più al centro dell'attenzione internazionale, dalle questioni legate al cambiamento climatico alle migrazioni. Una Carta municipale sulla restituzione sarebbe un'ulteriore prova della centralità dei sindaci e della politica comunale al giorno d’oggi.
Fig.3
L'Europa ha molto da guadagnare da questo processo. Il titolo dello spettacolo “The Ghosts Are Returning” si riferisce certamente al ritorno degli scheletri, ma, allo stesso modo, può riferirsi al ritorno dei fantasmi della stessa Europa: lo sfruttamento e la violenza che hanno caratterizzato il suo passato coloniale e su cui è costruita gran parte della sua attuale ricchezza.
Il movimento di restituzione aiuta africani ed europei a sviluppare una migliore e più profonda consapevolezza del proprio passato. Come dice la violista del GROUP50:50 Ruth Kemna durante lo spettacolo, "Per far sbocciare un futuro migliore, dobbiamo sottoporre i nostri musei alla psicoanalisi".
Per il filosofo francese Paul Ricoeur, l'Europa contemporanea è definita dal "perdono" e dalla "riconciliazione". Dopo due guerre mondiali e indicibili crudeltà reciproche, i Paesi europei hanno guardato insieme nell'abisso della loro colpa e del loro risentimento reciproco. Dove c'è stata violenza, il riconoscimento ha fornito la base per una vasta unione politica. Un'azione concertata per la restituzione del patrimonio culturale africano è il minimo indispensabile per prendere sul serio questa riconciliazione.
Eppure, sarebbe una frode inquadrare la restituzione solo in termini culturali e artistici. Come si affronta il saccheggio umano, ambientale ed economico subito dalle nazioni africane nel corso dei secoli? Questa è la questione più ampia che pone, ad esempio, l'attivista ugandese del Fridays for Future Vanessa Nakate nella sua battaglia per la giustizia ambientale in Africa.
Anche "The Ghosts Are Returning" punta in questa direzione. La foresta equatoriale che è stata l'habitat del popolo Mbuti per generazioni è ora minacciata dal disboscamento illegale da parte di aziende multinazionali ed europee. Non abbiamo forse il dovere di intervenire?
L'Europa può scegliere di aggrapparsi alla sua ricchezza e ai suoi privilegi in declino. Oppure potrebbe cogliere l'opportunità di coinvolgere realmente gli Stati africani e la loro società civile in una conversazione tra pari che fornisca ai cittadini di entrambe i continenti le risposte necessarie alle sfide planetarie comuni.
Come ci ricorda il filosofo camerunense Achille Mbembe, il termine francese per indicare la conoscenza è connaissance, una parola che letteralmente significa "nascere insieme". Questa è una definizione molto pertinente della conoscenza che l'arte può trasmettere. In definitiva, è ciò che il teatro e la politica hanno in comune: ci costringono a fare i conti con i nostri fantasmi e nascere nuovamente.
La versione inglese di questo articolo è stata originariamente pubblicata in Al Jazeera.
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The Ghosts Are Returning“ der GROUP50:50, vorne Kojack Kossakamvwe (Komposition und Musikalische Leitung), eine Produktion des PODIUM Esslingen und Centre d’Art Waza; Foto: Susanne Diesner.
Fig. 1 Die Bewohner von Bedegao, wo Boris Adé zwei Menschen exhumiert hatte, auf dem Weg zur Versammlung mit der GROUP50:50.
Fig. 2 Die GROUP50:50 auf dem PODIUM Festival Mai 2022, Konzert „Postkolonialer Salon“ im Kulturzentrum Komma; Foto: Christoph Püschner / Zeitenspiegel.
Fig. 3 Das Wohnhaus des Arztes Boris Adé während seiner Zeit in Wamba damals (im Vordergrund) und heute.
Foto: Joseph Kasau.