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NOTES ON CITIES: VENEZIA IV

INTERVIEW WITH MONICA VIERO, FEBRUARY 7TH 2020, MUSEO CORRER

Monica Viero is the head co-ordinator of libraries at the Museo Correr on St. Mark’s Square. She is currently supervising the restructuring of spaces for a new library set- up. While this interview was conducted in Italian, some phrases marked in italics were translated to english for more universal comprehension. 

LARA BELLENGHI: Monica, siamo sedute nel caffè del Palazzo Correr, con la vista più pittoresca su la Basilica di San Marco. Ci si sente come in prima fila nella loggia della Fenice. Si vedono però anche molti visitatori da qui.

MONICA VIERO: ...è certo che siamo abituati a vivere questa dimensione della bellezza, qui a Venezia. Una bellezza che tutti vogliono vedere. Questo porta con se delle enormi difficoltà. Parlo della difficoltà in generale, non solo legate all’acqua. Venezia è una città difficile. E anche questa dimensione ci mette in sicurezza. 

LB: Come intendi questo?

La cosa che è forse un po’ più complicata ad elaborare è che la stessa cosa che ti mette in difficoltà ti mette anche in sicurezza. E anche poi hai il problema dell’isolamento. Di tutti luoghi che sono nati per isolarsi da pericoli. Then there’s the point of being isolated, a phenomenon born from being in danger somewhere. Venice in the past has always been repopulated and saw moments of great growth exactly when the rest of the surrounding territory – be it national as well as international – was in danger. … There’s always this duplicity: we are safe when everything else is not. E così Venezia nel passato si è sempre ripopolata ed aveva momenti di grande attività nel momento che tutto il resto del territorio attorno – sia nazionale che internazionale – era in pericolo. Perciò dopo la seconda guerra Venezia aveva 180,000 abitanti; perché Venezia rispetto a tutto il resto del paese è stata sicura. Quindi c’è sempre questa duplicità: siamo sicuri quando tutto il resto è in pericolo. 

Io credo che è questo che l’amministrazione dovrebbe fare: Venezia può tornare ad essere una città viva, di persone e non di quello che è adesso, non so neanche io di che cosa… di ombre, di finzione. Quando comprenderanno (l’amministrazione) queste cose, in questi momenti di incertezza e paura di tutto, Venezia consente a vivere tranquillamente. Cioè Venezia è un posto dove, se succede qualcosa, uno non può scappare. E così non succede quasi niente.

Se dici “essere sicuri a Venezia” intendi però essere sicuri da problemi causati dall’uomo, mentre quelli naturali? 

MV: Esatto! Invece questa volta, la nostra percezione che tutto sommato di relativa stabilità all’interno del territorio che conosciamo bene nonostante le sue difficoltà perché Venezia non è facile, lo sappiamo bene, questo veramente ci ha spaventato. Cioè, io che non ho avuto particolari danni personali perché vivo al piano di sopra, ho per la prima volta – quando stavo al quarto piano a casa con le notizie che arrivavano continue – ho vissuto una situazione di panico, tipo come se fosse stata una situazione di guerra. Cioè capisci che non hai nessun controllo e così puoi solo essere spaventato perché è una cosa sulla quale non c’è controllo. E non c’è nemmeno memoria. Cioè questa cosa è stata tremenda per la città. Io non ho mai visto una cosa del genere. Era per settimane che non riuscivamo fare la spesa normalmente perché i negozi avevano i frigoriferi rotti; non riuscivamo a trovare il pane. C’era gente che andava a fare la spesa a Mestre perché a Venezia non riusciva a trovare il cibo. Io stessa il giorno ricordo che Venerdì – dopo l’alta marea che era un Martedì – io stessa non avevo niente da mangiare in casa e giravo per la città come una matta. È una dimensione che noi non pensiamo di dover vivere. 

È stata una situazione com’è doveva essere stata prima di tutto. (Prima della creazione della città, quando ci vennero i primi abitanti.) Io ad un certo punto di notte sono scesa per aprire la porta di casa che da alla Laguna per vedere fuori e non c’era distinzione tra terra e cielo, tra solido e liquido per tutto il vento e l’acqua che non ti permetteva di capire fin dove avresti potuto appoggiarti. Non sapevi su quale elemento entravi. E questo ti da veramente la sensazione di una ritorno ad una condizione solo immaginata del passato. Quella notte vedevo i campanili e solo le punte di edifici perché tutto il resto era sommerso alla vista delle persone. Quindi era la sensazione del momento della fondazione della città. 

It felt like how it must have been before everything (before the city’s creation, when the first settlers arrived). At one point during that night of November 12th I went downstairs to open the door that opens onto the Lagoon to take a look outside and there was no distinction between the earth and the sky, between solid and liquid because of the wind and water didn't allow you to sense up until where you could place your feet… that night I only saw the bell towers and only the tips of buildings because everything else was submerged for the eye to see. So it was in a sense like the moment of the foundation of the city. 

E poi è impressionante anche la reazione delle persone! Mi è capitato di incontrare dei turisti che mi dicessero “Peccato non esserci stati quì settimana scorsa quando c’èra l’acqua alta.” come se fosse una scenografia, cioè come per dire “comemai non ci avete preparato l’acqua alta quando siamo venuti a Venezia. Questo è incredibile! Questo turismo ingenuo è diventata la normalità della fruizione della città. 

LB: Fare spettacolo della vita quotidiana dunque.  

MV: Quello che però è che c’è stata una grande solidarietà con persone che sono arrivate per aiutare, oltre a quelle che sono venute a vedere come succede sempre quando ci sono delle disgrazie.

LB: Come il gruppo di giovani di Venice Calls. 

MV: Esatto! Questa cosa dei ragazzi è stata stupefacente. Cioè questa dimensione questi ragazzi non l’hanno mai vissuta e nonostante si sono organizzati per salvare Venezia. 

LB: Come pensi che questo potrebbe essere analogo al resto del mondo? Intendo dire: sono i giovani che si prendono cura, al contrario delle molte accuse della generazione dei nostri genitori che ci rimproverano di essere disinteressati.

Penso che tutto questo entra nelle dimensioni dell’attuale cambiamento climatico nel quale i giovanissimi si sentono protagonisti. Quando succede l’acqua alta a Venezia oggi, ormai ci sta dentro il problema climatico ambientale globale: non è più un tema separato ed unico a Venezia. Per i meno giovani invece non sembra di esserci il senso di urgenza di trovare nuove politiche di salvaguardia. Ed è questo il grande peccato perché Venezia potrebbe essere un grande cantiere di sperimentazione. Venezià che sembra una città del passato ha invece tutte le caratteristiche della città del futuro. 

LB: Pare una città di eterno equilibrio.

È una città dove le relazioni umane possono avere una certa dimensione perché Venezia lo consente, una città dove ci saranno mai le macchine. Lo sviluppo è relativo ed è mancato in alcuni settori ma è proprio questo che fa di Venezia un punto di arrivo. Per certi versi siamo già in avanti. Se quindi si riuscisse ad accogliere questa dimensione di “città del futuro” sarebbe vincente per la città. Qui c’è già fatto, già pronto, una rete, una situazione che altrove bisogna ancora costruire. O ricostruire. Bisogna creare le reti di vicinato, non i rapporti accelerati. Si vive una dimensione di aiuto a Venezia che è un punto di partenza – o un punto di arrivo per tutti gli altri che ancora devono impararlo. 

We already have everything here, everything is ready that elsewhere has yet to be created. We nurture close-knit networks, not accelerated encounters. We live in a dimension of mutual help here in Venice. It’s a point of departure – or arrival, for those who have yet to learn this. 

Quindi il fatto che queste siano occasioni perdute [dall’amministrazione] è colpevole.

LB: Sarà interessante vedere come verrà affrontato il discorso alla prossima Biennale d’Architettura.

L’idea che tutto sia come prima in realtà è assurda perché uno a Novembre veramente viveva una situazione post-bellica. Tu uscivi da casa e vedevi macerie da per tutto, migliaia di situazioni drammatiche, centinaia di persone che non avevano un materasso… Ma la città si è messa subito in piedi! È chiaro che con un tale smarrimento di punti di riferimento si è persa la percezione reale di come stanno le cose. Per dirti: l’unico negozio che non ha mai chiuso era quello di Louis Vuitton! Cioè io Venerdì dopo la marea alta del Martedì non potevo mettere in tavola una cena perché non c’era da mangiare ma Vuitton era aperto e volendo avrei potuto comprarmi una borsa di 2000€! To give you an idea: the only shop that did not close was that of Louis Vuitton! Imagine, on the Friday after the record tide of November 12th, a Tuesday, I could not prepare dinner because there was no food in the supermarkets but I could buy a bag for 2000€!

LB: È assurdo che questo sta diventato normale, queste dimensioni assurde che aggiungono dolore ad una città che una volta avevi – direi giustissimamente – chiamata una città ferita. 

MV: Giusto, perché storicamente, la Repubblica di Venezia si è sempre occupata a difendersi dall’acqua. L’occupazione dei canali, per esempio, è stato sempre un investimento grossissimo. Era un investimento che si capiva che era ontologico. Era quella Venezia, non come adesso che questo viene considerato una cosa in più. “E dopo ci occupiamo anche di non scavare altri canali per fare passare le navi perché potrebbe succedere qualcosa. Ma prima viene tutt’altro.” Non può più essere così! Ora il problema è che il pericolo (dell’acqua alta di Novembre) è passato. E adesso che cosa facciamo? Aspettiamo l’anno prossimo sperando di sopravvivere quello. Cioè io che cosa ho fatto: ho portato i libri all’esterno; li avevamo portati fuori ma non abbiamo detto cambiamo deposito. Abbiamo sbagliato nel dire “per fortuna i libri non sono andati sotto; speriamo che non andranno sotto la prossima volta!”. È che dobbiamo cambiare stile di vita se vogliamo salvarci. We have to change our way of living if we want to rescue ourselves. 

LB: Il cosiddetto quick fix non funziona. 

MV: Esatto, è proprio questo il problema di Venezia ma anche dell’uomo. Cioè, se tu vuoi vivere bene devi risolvere il problema della morte. Devi affrontarlo e devi risolverlo, ogni uno a modo suo ma non si può prescindere da questo. Altrimenti sarà sempre una vita complicata. Perché la cosa troppo facile è dirsi che è tutto così difficile e quindi devo morire. Se pensi questo non puoi vivere bene! 

LB: È interessante questo aspetto detto da una Veneziana, che per definizione sa che cosa vuol dire lottare per (sopravvivere). In questo senso, Venezia può essere considerata una grande mamma di tutti: un punto di riferimento che dimostra come vivere proprio nell’affrontare dei problemi. 

MV: Certo.

LB: Il turismo di massa assieme ad un governo che ha pensato prima ai soldi ma non ai cittadini, di conseguenza, potrebbe essere considerato un fenomeno simile ad un bambino adolescente che non vuole maturare. Nel senso che prende tutto ma non ridà nulla. Anzi, fa danni.

MV: Esatto, il fatto che non ci sia maturità nell’approccio alla città, deve essere l’amministrazione a dover trovare delle soluzioni. Queste però non possono essere le tariffe d’entrata per i visitatori. Non è esattamente che pagando per l’entrata si risolve qualcosa.

LB: I prezzi aumentano e la qualità cala; certo che questo non è un approccio sostenibile… Però si è visto che questo non è un caso soltanto Veneziano o Italiano. I Veneziani sono stati però tra i primissimi a contribuire a e soffrire a causa del turismo di massa e le sue multiple riverberazioni. Sarà il destino della bellezza che fa scomparire il lato funzionale? 

MV: Tu pensa che a Venezia non ci sia un museo che spiega come Venezia è fatta. Come fa a Venezia di starci l’acqua dolce? È certo che poi saranno tutti sprovveduti; che se non usi il tuo passato funzionalmente, è chiaro che nessuno potrà poi lavorare sui contenuti. E poi a che cosa serve tutto?

Perciò è comprensibile che anche i ragazzi Veneziani non possono studiare bene la loro città. Imagine that in Venice there is no museum explaining how Venice is actually made. How do we get potable water? In light of this, it is obvious that nobody is prepared; if you’re unable to use your past functionally, it’s clear that nobody can then work with the content. And what good is it then?

LB: Anche questo rappresenta come Venezia fa da esempio. La mia generazione, ma al livello internazionale, è nata in un mondo che ha dimenticato a costruire dei ponti. Siamo cresciuti pensando che tutto fosse possibile, che tutto fosse ottenibile ma senza aver ricevuto molti istrumenti per comprendere, ne i propri luoghi di nascita, per non parlare quelli all’estero.

MV: Sai a Venezia si soffre molto di questa cosa: ci sono chiaramente persone che si occupano dei problemi ma spesso con un’aria paternalistica, nostalgica. Questa logica dell’essere chiusi nei propri palazzi a soffrire in solitudine porta a poco: non c’è un legame al territorio. Guarda che cosa è stato fatto, ad esempio per Poveglia quella volta: i cittadini si sono mobilitati nei bar, nelle osterie, nei campi. È che qui a Venezia c’è uno scollamento totale tra le due dimensioni che sono entrambi forti. Non c’è dunque visione ed è quello che succede da per tutto.

LB: In realtà è così semplice: siamo tutti nella stessa barca. Ormai suona cliché. 

Sì, è un problema, questo senso della superiorità Veneziana di tempi passati. Spesso proprio questo è l’epigono di quello che ha provocato la decadenza. 

LB: Ricorda varie strutture gerarchiche nelle quali si lavora ma non ci si parla. Che dunque si tratta di esistere paralleli, ma non intrecciati. Come in un grande museo dove all’interno non c’è un senso sociale. Pare una situazione dalla quale non si può scappare, se viviamo in un mondo dove i musei e le mostre dettano la nostra cultura. Ci siamo persi nei labirinti dei nostri padri.

MV: Dovrebbe aiutare a mettere in discussione; abbiamo capito che le cose così non funzionano. Il capitalismo non funziona; le strategie che sono state proposte in passato non ci hanno fatto stare bene. È questo vale soprattutto per una città che, come dici tu, è uno specchio in anticipo di quello che sta succedendo. Abbiamo capito che lo sfruttamento di risorse da un lato e l’abbandono delle attività originarie di questa città lagunare non ha funzionato. C’è un mal investimento di risorse perché non c’è stato mai una visione, come una volta dicevi tu, virtuosa dei soldi che venivano incassati. We have understood that the exploitation of resources for one, and the neglect of the original activities tied to this lagoon city for another, has not worked. Resources are being mishandled because there has not been a long-term, as you say virtuous vision on how to handle the money that has been cashed in. 

LB: Venezia ha profondamente capito –

MV: – che tutta quest’enorme quantità enorme ci ha fatto inasprendo le nostre qualità peggiori. Stiamo investendo sulle qualità peggiori; questa cosa è suicida. E per questo la situazione a Venezia del Novembre scorso forse ha finalmente portato un finale “così non si può andare avanti; dobbiamo fare qualcos’altro.” Solo che vedo io è una città che si è messa in piedi come se niente fosse stato. Si vede anche come viene affrontato il discorso del Mose. È un meccanismo che è stato costruito sott’acqua e le leve si sono arrugginite. 

E cosa vuol dire questo? Vuol dire una disattenzione sulla quale si gioca il destino delle persone e di una città che è quello che è ma anche nella percezione del mondo: una città unica della quale sono state fatte copie “Venice”. In questo non c’è logica. 

LB: Fa paura.

MV: Esatto. L’impressione che ho io che questa cosa è stata un disastro, nel senso che poteva succedere ed è successo. Io ero smarrita; nei giorni seguenti al 12. Novembre anche senza grossi danni, mi sentivo come in una città di guerra dove nulla è al sicuro. Una situazione di fluidità che dunque ti da l’impressione che tutto può succedere. Ma che poi teniamo aperto Vuitton e chiude il panettaio in campo è incredibile!

LB: Forse ci siamo dimenticati di Re Mida. O siamo condannati a ripetere errori del passato. 

MV: Ma sai che la casa che volevo vendere che era di mia mamma ora non interessa: il ragionamento che viene fatto è che è meglio comprare casa in terraferma. È assurdo che allo stesso tempo Venezia è una bolla immobiliare che sta per il suo conto. È questo viene giustificato con il fatto che Venezia non è una città dove la gente vive. Non viene considerata come Padova, o Treviso. Forse solo alla Giudecca c’è ancora la sensazione di luogo normale, dove c’è il pescivendolo, il panificio…

La Venezia che ho vissuto io con Venezia è diversa di come la vedono i miei figli. Io se vado in una città cerco questa dimensione umana, eventualmente abitabile; loro vanno invece per vedere quello che c’è da vedere. Una città vera dove le persone vanno da A a B perché devono per lavoro o una commissione - e non per turismo - i miei figli non l’anno mai conosciuto. E questo cambia la tua idea di luogo e non-luogo. E quindi tu non ti prenderai mai cura. Dalla loro nascita non anno avuto strumenti per poter prendersi cura di un luogo. Spaventa pensare che questi dovrebbero essere gli stessi strumenti per prendere cura di se stessi. 

LB: Si perde così anche la capacità di essere critici, no?

MV: Non riesci ad avere un atteggiamento, esatto. Però questa cosa dell’acqua alta passata dovrebbe essere l’occasione per ripensare un po’ a tutto. Dal quasi nulla poi può rinascere qualcosa. 

LB: Che poi sarebbero – 

MV: – le origini di Venezia propria. 

 

Carnevale, Polaroid, Lara Bellenghi

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