A partire dagli anni 90 le opere di Regina Jose Galindo hanno abitato luoghi pubblici, appezzamenti di terra, sottoscala di gallerie; luoghi in cui lo sguardo è animato da una realtà in cui il capitalismo-razziale-patriarcale si giustifica e replica come unica ideologia.
Le opere performative di Galindo, vedono il posizionamento del suo corpo, nudo, tremate, avvolto da drappi, nello spazio, come contro-parte di un’oppressione sfrenata della donna, del territorio di sacrificio e di occupazione della sua nazione di provenienza il Gautemala. Galindo, infatti è una delle prime femministe intersezionaliste a riconoscere il corpo femminile come corpo sociale in constante allerta, archivio che custodice il riverbero continuo di abusi storici e culture cancellate. Un corpo tuttavia partigiano e duraturo che non ha paura di mostrarsi sanguinante, nudo, esausto, per denunciare le violenze di genere, i femminicidii la bigotteria del cattolicesimo fascista, un corpo che infesta la memoria collettiva, seppur nascosto e che si rigenera, cosí come la terra.
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L’estrazione e lo sfruttamento del territorio sono metafore, nelle performance di Galindo, della condizione della donna e viceversa, in un sodalizio che di sfondo denuncia il pensiero patriarcale dietro le diverse dittature militari che a partire dagli anni 50 si sono susseguite in Guatemala, compromettendo il territorio e la sua popolazione per interessi economici.
L’opera Tierra (2013), in cui Galindo posa nuda su una zolla di terra, circondata da scavatrici, che dilaniano il suolo, ad alludere alle fosse comuni in cui erano gettati gli oppositori al regime dittatoriale di Carlo Castillo Armas, immediatemente rimanda a questa mesta metafora.
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Tuttavia le conseguenze del progetto politico estrattivista si manifestano oltre la metafora, nell’espropriazione delle comunità indigene dai loro territori, nel lavoro precario di estrazione, nella migrazione verso nuovi non-luoghi di deprivazioni. Galindo coinvolge le comunità afflitte dalla piaga capitalista, unendo il suo corpo al loro, come nell’opera collettiva Ríos de Gente (2021), dedicata a Bernardo Caal, difensore dell'acqua, della terra e dei diritti dei popoli indigeni in Guatemala. Una lingua di tessuto blu sorretto da centinaia di persone, ricorda i luoghi dove un tempo scorreva un fiume, deviato ed inquinato dalle industrie estrattive.
Galindo, Leone d'Oro alla 51a Biennale di Venezia, nel tempo è riuscita a creare un’eredità di pratiche in cui l’ideologia influeza la materia o la sua assenza. Il territorio che ne deriva non vede discriminazione tra il messaggio artistico e quello di sensibilizzazione politica, entrambi, unendosi ampliano la voce collettiva dell’oppressione. Le sue performance cosí disturbano la censura invitando ad una rivoluzione sensibile, carnale, ecologica, di de-conquista del mondo. Come incita l’omonima campagna di manifesti affissi per le strade di Madrid e Barcellona nel 2020.
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- IMAGE CREDITS
Cover: Regina Galindo. Ríos de Gente (2020). Photo by Juan Esteban Calderón.
fig. 1: Regina Galindo. Mazorca (2015). Photo by David Pérez.
fig. 2: Regina Galindo. Tierra (2013). Photo: Bernard Huet. Courtesy of the artist.