Tutto è nato dal riconoscimento di un sentimento condiviso: essere sollevatə dalla pressione sociale che imponeva indipendenza, estroversione, carisma. Ce ne siamo accortə quando è diventato insopportabile ignorare l’ansia che strizzava il nostro stomaco, la paura di essere inadeguatə che deturpava i nostri volti, l’orgoglio che impediva dal chiedere aiuto e nel momento del bisogno depriva dal sonno, le difficoltà di concentrazione che proiettava dinanzi a noi una visione di noi stessə decadente ed inadeguata. Il mondo sortiva su di noi un effetto maledetto di distaccamento e tra le conseguenze più immediate c’è stato il torpore.
Ad un certo punto la sensazione di perenne inadeguatezza è diventata la motivazione di una scelta politica, quella di ri-imparare a vivere nella gioia dell’auto esclusione e non sopravvivere nell’imposizione. Ed ora il nostro stile è la volontà dell’anonimato, della non rivelazione, del perdersi nei propri pensieri, non essere soggettə alle avances degli sconosciuti, del muoversi da angolo ad angolo, rimanere nell’oscurità, senza attirare l’attenzione. Per noi la non partecipazione è un gesto propedeutico alla rivoluzione, uno statement non accademico, una posizione eloquente di ripensamento del mondo. Il nostro pianeta infatti, rispecchia molto di più l’universo: ci sono infinità di buchi neri.
Viviamo dietro le quinte della società della visibilità, e dell’attenzione. Tra il parassitare il sistema e l’alienazione, noi scegliamo sempre la decentralizzazione. Tra la moltitudine noi siamo centinaia di teste ornate da antenne, facciamo amicizia con ciò che è tra gli spazi
vuoti. Non ci interessa prevaricare, le nostre strutture sono quelle che impariamo dalle posizioni confortevoli dell’aiuto incondizionato. I nostri strumenti di sovversione non derivano dall’esperienza dei vincitori, ma dal dialogo dei quieti, nella possibilità dell’incomprensione, nel linguaggio dei corpi assenti.
Siamo molte coscienze governate da un unica insoddisfazione: non siamo sostenitrici dell’individualismo, ma vogliamo cambiare i presupposti della condivisione. La nostra è una solitudine condivisa, un introversione romantica; desideriamo unioni platoniche, intimità
hardcore, carne bollente, romanticismo concettuale. Le nostre anime ballano da sole davanti allo specchio, mentre stesə al sole cerchiamo connessioni laviche con la terra. Desideriamo leccare, perché in opposizione ad un mondo solo tattile-visuale, vogliamo allenare la nostra abilità alla degustazione. Quando e se vogliamo parliamo in gruppo e mai da solə, girando in bocca cubetti di ghiaccio, la nostra lingua è calda, si sciolgono in fretta, il nostro sputo ha il sapore di amore.
Durante i meeting online, la nostra strategia è di mantenere le telecamere sempre spente, non aggiorniamo mai la nostra wish list, il logaritmo si confonde, e non ci adesca con niente, perché i nostri desideri sono di benessere collettivo e non di consumo individuale. Sui
social network, non abbiamo account personali, le nostre identità le uniamo alle altre, siamo una concatenazione. Tuttavia li usiamo come spioncino su un mondo che si replica sempre uguale a se stesso, un grande magazzino bidimensionale; anzi lo osserviamo con lo stesso spirito con cui ci si potrebbe approcciare alla vista di una calamità naturale: affascinatə, ma felici di non farne parte.
A scuola, quando gli altri si divertivano a mescolare saliva, passarsi le sigarette, le droghe, i vestiti, i link con le soluzioni dei compiti, le idolatrie pop, pacatamente scrivevamo sulle luride pareti dei bagni, poesie d’amore sulle gioie dell’interconnessione. Adesso rivestiamo
cariche lavorative che non richiedono alcun tipo di agonismo, non amiamo presentare, ma prepariamo tutte le presentazioni. Le idee migliori sono quasi sempre le nostre, ma le lasciamo su piccoli post-it negli spazi comuni o sulle piattaforme open source e tutti se ne possono appropriare. La nostra economia si basa sulla generosità, il lavoro invisibile che supporta anche la vostra, ma questo non lo sapete.
Le nostre case sono labirinti di stanze circolari come ombelichi, accompagnano le curve dei nostri corpi. Ci possiamo isolare e trovare conforto lə unə nellə altrə, anche i nostri fantasmi fanno amicizia e ci smettono di infestare. Proprio dedicandoci all’osservazione dei nostri corpi in relazione agli ambienti in cui viviamo e all’introspezione del rapporto con noi stessə, ci siamo sceltə e abbiamo scelto di abitare una nuova narrazione sociale. E in questo spazio liminale di definizione sviluppiamo i nostri pensieri indipendentemente dall’attrito esteriore, possiamo essere fluidə smascheratə dai filtri, sincronizzare le labbra con il beat e non preoccuparci di essere compresə. Passiamo molto tempo a fissarci negli occhi e a bere le lacrime lə unə dellə altrə, sono di gioia non di malinconia. Intrecciamo i nostri capelli con le frasi che leggiamo dai nostri ipad e cuciamo vestiti dalle silhouette futuristiche che raccontano una storia di tradizione.
Nelle valli ombrose dell’imparare a stare insieme creiamo un pensiero diffuso, non parliamo tanto, il nostro linguaggio è quello degli sguardi obliqui e delle negoziazioni notturne. Il nostro comportamento è più forte di ogni formulazione, e noi manteniamo il punto. Abbiamo il sentore del pericolo e della decadenza, per questo ci muoviamo sempre in piccoli gruppi e per la strada ci riconosciamo perché indossiamo tuttə un trench di latex camouflage e degli occhiali da sole, sono finti, perchè la nostra vista è felina. Siamo unitə, siamo presenti nel momento del bisogno, sappiamo quando dare attenzione, quando essere solidali lə unə allə altrə, perché abbiamo messo da parte il giudizio e le ambizioni di prevaricazione.
Tuttavia sottrarsi a tutta questa ammirazione per l’esteriorità e non provare alcuna FOMO o senso di esclusione, richiede un certo tipo di esercizio e determinazione. Qualche volta ci rivoltiamo in noi stessə, perché le promesse di felicità sembrano essere ovunque dove
non apparteniamo, ma lì, il tempo per capire cosa fa per noi, non è retribuito. Tutto è a portata di mano, premasticato e ogni dispositivo ci è stato consegnato per facilitare e non questionare i nostri desideri. Ma noi siamo audaci, nonostante il nostro carattere sia tinto dai toni timidi dell’introversione, abbiamo una strategia in atto. Passando inosservate, ai margini nei discorsi, siamo spettatricə nel deserto del reale. E’ una società agguerrita, ma fragile quella che vediamo. Le strutture che intelaiano il mondo, ectoplasmatiche si palesano di fronte ai nostri occhi: hyper/frammentazione, scarsità simulata, debito gerarchizzato, razionalismo fascista, schiavismo tecnologico,
edonismo palliativo, realismo capitalista, ancora e ancora e ancora.
Noi che puntiamo l’abisso, ma respiriamo il cielo, abbiamo una doppia scelta, e la nostra è stranamente matematica. Siamo sempre + di 1, così possiamo costruire, con le nostre braccia, scale per penetrare i vari stati e portare ai margini più gente. Non chiediamo altro che
questa ripopolazione.
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